Decifrare l’Alba della Fede: Ermeneutica di una Miniatura Siriaca tra Mirofore e il Risorto

Miniatura Da Evangeliario Siriaco (C. 1219-20) Con Le Mirofore, L'Angelo, E Il Cristo Con Maria Maddalena.
Miniatura Da Un Evangeliario Siriaco (C. 1219-20, Biblioteca Apostolica Vaticana): A Sinistra, Le Mirofore Al Sepolcro Con Un Angelo. A Destra, Cristo Appare A Maria Maddalena.

Ci troviamo dinanzi a un foglio, anzi, a un testimone oculare proveniente da un Evangeliario Siriaco, vergato – o meglio, miniato – attorno al 1219-1220, oggi custodito, non a caso, tra i silenzi gravidi di storia della Biblioteca Apostolica Vaticana. Esso ci squaderna una duplice scena, un dittico narrativo che interpella la nostra capacità di leggere i segni del sacro: a sinistra, le Pie Donne, le Mirofore, che si appressano al Sepolcro vuoto, archetipo dell’assenza che significa presenza; a destra, l’epifania del Cristo Risorto a Maria Maddalena, incontro che ridefinisce la prossimità e il divino. Questo frammento di pergamena è un concentrato semiotico, un nodo in cui si intrecciano la tradizione artistica siriaca, con le sue cadenze espressive, e gli echi, inevitabili e fecondi, dei codici iconografici bizantini. Le figure, pur obbedendo a una stilizzazione che è cifra dell’epoca e del luogo, vibrano di una spiritualità intensa, quasi un’aura che il miniatore ha saputo infondere nella materia. La composizione densa, l’oro che non è mero sfondo ma teofania luminosa, tutto concorre a orchestrare un discorso teologico per immagini. Ogni elemento è un signans che rimanda a un signatum più vasto, inserendosi in una catena interpretativa che affonda le radici nei primi secoli del cristianesimo. Lo studio continuo di tali manoscritti miniati non è dunque semplice erudizione, ma un tentativo di ricostruire l’orizzonte d’attesa del lettore/fruitore medievale (Parshall). La persistenza di queste immagini attraverso i secoli testimonia la loro perturbante capacità di significare ancora, di interrogarci sulla natura stessa della rappresentazione del sacro.

Il Teatro Sacro dell’Assenza: Le Pie Donne e il Verbo Angelico nella Miniatura Siriaca

Osserviamo la porzione sinistra di questa complessa pagina miniata: essa inscena, quasi fosse un tableau vivant medievale, il dramma liturgico delle Mirofore. Tre figure femminili – la tradizione ci suggerisce i nomi di Maria Maddalena, Maria di Giacomo e Salomè – avanzano verso il luogo della Deposizione, recando gli aromi, simboli di una pietà che la morte non ha estinto. La loro postura, pur intrisa di un rispetto che confina col timore, tradisce un non detto, un’attesa che sta per essere sconvolta. Elemento cardine della significazione è qui la figura dell’angelo, nunzio celeste assiso sulla pietra ribaltata del sepolcro. La sua veste candida, la sua serafica immobilità contrastano con il dolore composto delle donne, fungendo da prolessi visiva del messaggio inaudito: la Resurrezione. Il sepolcro, una cavità oscura, quasi fauce inghiottente, è il significante dell’Ade, del regno della morte che la luce pasquale sta per perforare. Le pieghe delle vesti, pur nella loro essenzialità formale, non sono casuali: costruiscono volumi, suggeriscono un movimento trattenuto, quasi un respiro sospeso della narrazione. La tavolozza cromatica, dominata da toni terrosi interrotti dal fulgore dell’angelo, orchestra la tensione emotiva. È innegabile che tale impianto iconografico risenta di modelli diffusi nell’arte bizantina coeva, come non manca di sottolineare l’acribia filologica di studiosi quali Xyngopoulos nelle sue disamine sull’arte del XIII secolo (Xyngopoulos). Tuttavia, l’interprete siriaco vi innesta una immediatezza espressiva, una sorta di pathos trattenuto che ne costituisce la cifra distintiva, quasi una glossa locale a un testo universalmente noto.

Le Mirofore Con Gli Aromi Presso Il Sepolcro Di Cristo, Evangeliario Siriaco, Dettaglio Del Pannello Sinistro.
Dettaglio Dall’Evangeliario Siriaco: Le Mirofore Portano Gli Aromi; Le Loro Espressioni Comunicano Il Lutto E L’Attesa Prima Della Rivelazione Della Resurrezione.

“Noli Me Tangere” o la Dialettica della Presenza Divina: Cristo, la Maddalena e lo Sguardo Interdetto delle Guardie

Volgiamo ora lo sguardo – sguardo che è sempre interpretazione – alla sezione destra della miniatura. Qui la narrazione raggiunge un vertice di intensità teologica e semiotica con l’apparizione del Cristo Risorto a Maria Maddalena. Il Cristo si erge, figura ieratica ma non distante, il nimbo a proclamarne la natura divina trasfigurata, mentre si rivolge alla Maddalena, colta in un atteggiamento di stupore adorante. Il gesto del Cristo, quel “Noli me tangere” (“Non mi trattenere”) che i Vangeli ci tramandano, è qui un complesso dispositivo comunicativo: esso instaura una nuova dialettica della presenza, un contatto che non è più fisico ma spirituale, ridefinendo le categorie del vedere e del toccare il divino. Maria Maddalena, avvolta nel suo tradizionale maphorion rosso – colore che la semiotica cristiana associa alla carità ardente e alla testimonianza – diviene così la prima testis Resurrectionis. Al di sotto di questa scena capitale, quasi a fungere da contrappunto terreno, si scorgono le figure di due guardie, accasciate o addormentate, simbolo dell’ottusità del potere mondano, della sua incapacità a decifrare i segni dell’irruzione del divino nella storia. I loro scudi, dalla forma appuntita a aquilone, non sono un mero dettaglio realistico, ma un indice culturale, un elemento che, come osservano Thomas Mathews e Avedis Krikor Sanjian nella loro preziosa analisi comparata, ricorre in altri manoscritti della tradizione siriaca e armena (Mathews e Sanjian). L’intera composizione è orchestrata per comunicare un senso di trionfo sulla morte, di una speranza che non è semplice aspettativa, ma certezza fondata sull’evento pasquale.

Contemplare queste miniature – e per contemplazione intendo un atto di lettura attenta, quasi filologica, dei loro codici visivi – è sempre un’esperienza che sollecita l’intelletto e lo spirito. Non si può non restare ammirati dinanzi alla perizia tecnica e alla densità concettuale condensate in spazi così esigui, frutto di un lavoro paziente, quasi ascetico. Ogni linea, ogni campitura di colore, ogni gesto delle figure non è mai gratuito, ma risponde a una logica interna, a una intentio operis che trascende la mera illustrazione per farsi teologia visiva. La schiettezza espressiva, quella sorta di “realismo trascendentale” che caratterizza molta arte siriaca, rende le figure sacre stranamente prossime, quasi dialoganti con l’osservatore medievale. È come se l’artista cercasse di colmare, attraverso i mezzi del suo linguaggio, la distanza ontologica tra l’umano e il divino. La finezza con cui sono tratteggiati i volti, le posture che comunicano stati d’animo, persino il modo in cui le pieghe delle vesti avvolgono i corpi, tutto concorre a creare un universo di segni denso e vibrante, un testo che attende ancora, dopo secoli, i suoi lettori.

Epilogo: La Persistenza dei Segni

La miniatura dell’Evangeliario Siriaco del 1219-1220, con la sua duplice rappresentazione delle Mirofore al Sepolcro e dell’apparizione di Cristo alla Maddalena, non è semplicemente un reperto archeologico o un documento per specialisti. Essa si configura come un potente dispositivo semiotico, un testo culturale che, pur radicato nel suo specifico orizzonte storico e teologico, continua a generare sensi, a interpellare lo sguardo contemporaneo. La sua forza risiede proprio in questa capacità di trascendere la propria contingenza, parlandoci della perenne esigenza umana di dare forma e significato all’esperienza del sacro, del lutto e della speranza. Lo studio di tali opere, inclusi i parallelismi e le divergenze con tradizioni coeve come l_’Iconografia evangelica armena, ci permette di comprendere meglio non solo l’evoluzione dell’iconografia religiosa, ma anche le più profonde ansie e aspirazioni spirituali delle culture che le hanno prodotte (Mathews e Sanjian). Questi frammenti di un passato che credevamo muto si rivelano, a un’analisi attenta, straordinariamente eloquenti, testimoni della persistenza dei segni e della loro inesauribile capacità di significare.

Domande Frequenti (o Quasi)

Cosa raffigura, in essenza, la miniatura dell’Evangeliario Siriaco?

Questa pagina miniata del XIII secolo, proveniente da un Evangeliario Siriaco, dispiega un dittico narrativo cruciale per la fede cristiana: a sinistra, le donne Mirofore giungono al sepolcro vuoto, accolte da un angelo; a destra, il Cristo Risorto si manifesta a Maria Maddalena. Si tratta di una “messa in scena” visiva dei momenti fondanti della narrazione pasquale.

Chi sono le Mirofore e quale il loro ruolo ermeneutico in questa miniatura siriaca?

Le Mirofore, o “portatrici di unguenti”, sono le discepole che, secondo i testi evangelici, si recarono al sepolcro per officiare i riti funebri. Nella logica di questa miniatura siriaca, la loro scoperta del sepolcro vuoto e il messaggio angelico le costituiscono come prime testimoni e interpreti autorizzate dell’evento della Risurrezione, figure chiave nella trasmissione del messaggio cristiano.

Quali codici artistici si possono decifrare nella miniatura siriaca delle Mirofore?

La miniatura siriaca delle Mirofore e dell’apparizione a Maddalena, pur esibendo stilemi propri della tradizione artistica locale – quali una certa espressività icastica e una predilezione per la chiarezza narrativa – dialoga palesemente con i codici dell’arte bizantina coeva, soprattutto per quanto concerne l’impianto iconografico consolidato per queste scene della Resurrezione.

Perché l’apparizione di Cristo a Maria Maddalena è un “testo” iconografico così denso di significato nell’Evangeliario Siriaco?

L’epifania del Cristo a Maria Maddalena, come narrata visivamente in questo Evangeliario Siriaco, è un evento semioticamente cruciale: Maddalena è la prima a “leggere” il segno del Risorto. Il suo successivo incarico di annunciare l’inaudito agli altri discepoli la eleva al rango di “apostola degli apostoli”, sottolineando il suo ruolo di cardine ermeneutico nella diffusione della notizia pasquale.

Come sono rappresentate le guardie al sepolcro in questa pagina miniata e quale funzione narrativa assolvono?

Nell’Evangeliario Siriaco, le guardie al sepolcro di Cristo sono raffigurate addormentate o sopraffatte dallo stupore, come si evince anche dalla seconda immagine fornita che le mostra nella parte inferiore. Tale rappresentazione dei soldati non è casuale: essa simboleggia l’impotenza del potere terreno e della vigilanza umana di fronte all’intervento divino della Resurrezione, enfatizzando la vittoria dello spirito sulla materia e la cecità di chi non sa leggere i segni.

Riferimenti Bibliografici (Non Esaustivi)

  • Mathews, Thomas F., e Avedis Krikor Sanjian. Armenian Gospel Iconography: The Tradition of the Glajor Gospel. Dumbarton Oaks, 1991.
  • Parshall, B. (a cura di). A Companion to Byzantine Illustrated Manuscripts. Brill, 2017.
  • Xyngopoulos, A. L’art byzantin du XIIIe siècle. Citato in Archaiologikon deltion: Meletes. Meros A – Vol. 34, 1986 (p. 10), contributo originale a Arte Bizantina, Arte Europea, Atene, 1964.